"SOLO L'ASSENZA DI CERTEZZE PUÒ AIUTARCI A RESTARE LIBERI"
(Roberto Esposito)

giovedì 25 febbraio 2016

LE GALLINE NON SONO SINGLE Seconda parte

 

Il mattino successivo mentre mi stavo preparando per andare al lavoro ecco che attutito e lieve ricompare il solito ò… ò… ò… OOOò. Prima di andare a scuola, i ragazzini non paghi dei giochi del giorno prima hanno voluto riprendere in mano il balocco, non per molto, appena un po’ forse per provare se il ninnolo fosse ancora così divertente.

Arriva la sera e mentre io sono in studio al pc ecco ancora, questa volta fortissimo, ò… ò… ò… OOOò, quasi fosse sul mio balcone.

Ma insomma basta! Alzo istintivamente gli occhi e guardo verso la porta finestra seminascosta dalle piante che nella cattiva stagione tengo li davanti, sperando che la poca luce invernale che entra basti a farle giungere vive a primavera.

Sobbalzo, sbatto le palpebre, mi sfrego gli occhi. Qualcuno mi guarda dal terrazzo, nel buio, all’altezza del mio viso, pupille brillanti, sguardo fiero... Capo coronato.

Non è possibile, ci risiamo!

(Qui il precedente parte1, parte 2, parte 3.  In un racconto riuscito molto meglio di questo.)

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Altro che ragazzini impertinenti. Questo è un GALLO! (il perché facesse coccodè come le galline anziché chicchirichì come ci si aspetterebbe proprio non lo so) E che razza di gallo un vero re del pollaio, impettito, lucente, colorato. Bargigli e cresta da gran signore di un rosso vermiglio, coda folta tra il nero ed il verde, collare screziato, veramente un bell’animale.

Questa volta contravvenendo alle mie regole ci vuole il flash

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Bello eh?

Che ci fai bellezza piumata sul mio balcone?
Memore dell’esperienza precedente di cui vi ho messo il link poco sopra mi sono risparmiata inutili sforzi nella ricerca dei proprietari e sono andata a colpo sicuro: Mamma Rosa del Ristorantino!

Rapida indagine on line per trovare il numero di telefono, ho fretta, se aspetto ancora un po’ diventa ora di cena e figurati che hanno tempo di pensare al gallo, posto che sia loro, con tutti i clienti a tavola.

Tuuu… tuuu… –Pronto?
- Buona sera signora, non è che…
-Deve prenotare? aspetti un momento…
-No signora, non devo prenotare…
-…?…
-Non è che per caso avete perso un gallo?
-Un gallo! Hem.. In effetti noi avremmo proprio perso un gallo alcuni giorni fa…
-Beh allora venite a prenderlo, è sul mio balcone!
-Sul suo balcone? Ma come, ma dove, ma perchè?
-Signora, si ricorda qualche anno fa? Avevate perso una gallina…
-Gallina? Siii! è vero mi ricordo ero venuta a prenderla io ma sono passati anni!
-Ecco, il gallo è nello stesso posto.
-Uuuh davvero? Per fortuna è buio e non si allontana più, mando subito mio figlio a prenderlo!

Mentre aspetto il figlio ne aproffitto per far conoscenza con l’ospite,

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gli scatti del flash, anche se non ho ancora osato avvicinarmi,  sembrano non disturbarlo, meglio, sarà più facile prenderlo.

Arriva il figlio, socchiudo un po’più la porta del balcone perchè possa acciuffarlo, ed il gallo…

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Vola giù

Ach, mi sembrava troppo semplice.

Inizia il rodeo, il gallo che scappa il figlio ed il mio compagno che lo inseguono. Mi spiace non ho documentazione fotografica della caccia ero troppo impegnata a ridere.

Come è come non è dopo un po’ riescono a bloccarlo in un angoletto ed il gioco è fatto.
Il baldo riproduttore finalmente catturato può tornare al suo harem.

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Che si sia voluto prendere una vacanza dalle sue molte mogli?

lunedì 22 febbraio 2016

LE GALLINE NON SONO SINGLE

Ovvero: corsi e ricorsi delle storie.
Un giorno di inizio febbraio, pomeriggio.
Stavo come al solito pasticciando per casa tranquilla tranquilla, quando il silenzio viene improvvisamente infranto da un ò… ò… ò… OOOò , ripetuto, ò… ò… ò… OOOò , e ancora, ò… ò… ò… OOOò , ancora… Sempre identico, nessuna variazione di timbro, volume numero ò di prima dell’OOOò. Ecchecazz di suoneria malefica si sono scelti i ragazzini dei vicini per il cellulare! Uff che palle di nuovo ò… ò… ò… OOOò, ò… ò… ò… OOOò, ò… ò… ò… OOOò… Quasi quasi esco e li strozzo, proprio sotto le mie finestre devono mettersi a fare la gallina e rompere le scatole? Che hanno oggi quei demonietti?
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Poi , finalmente, mi sovviene: febbraio, martedì… Aaah è martedì grasso! Che vecchia bisbetica insofferente sto diventando, sarà sicuramente uno di quei giochini a forma di barattolo con lo spago che esce da sotto, chi se li ricorda? Tiri lo spago dall’alto al basso e la membrana a cui il filo è fissato sul fondo del barattolo fa il verso della gallina: ò… ò… ò… OOOò, ò… ò… ò… OOOò, ò… ò… ò… OOOò. Ho cercato la foto in internet, ma incredibilmente non la ho trovata, sarà perché non so bene che parole chiave inserire, (verso della gallina, barattolo, carnevale, spago) sarà che io a cercare sono una frana, comunque sia non lo ho trovato immagini a parte una ma di un aggeggio analogo fatto in casa.
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(Preso da qui)
Smettila di brontolare Vera, lascia giocare i ragazzini in giardino, stai diventando come la “Vecchia Caccamolla”
-La Vecchia Caccamolla? Chi è costei?-
Non è più, ma era una anziana signora che, quando io bimba abitavo in un piccolissimo rione a Terre Alte, viveva vicino a casa nostra, le sue finestre si affacciavano sulla piazzetta, che era sempre il punto di raduno di tutti ragazzini del circondario.
Era una donna molto scontrosa un po’ svanita che, costantemente adirata, minacciava urlando di chiamare la polizia, di picchiarci col randello, di rovesciarci addosso il pitale. L’ultima però non si limitava ad essere solo una minaccia, capitava che aprisse la finestra e capovolgesse il vaso da notte fuori dal davanzale nel vano tentativo di farci arrivare il contenuto in testa.
Già il fatto che negli anni sessanta una anziché il cesso usasse il pitale la dice lunga sul soggetto, comunque sia figuratevi che stavamo li a ricevere l’immonda doccia, a sette anni eravamo svelti come gatti e dispettosi come mosche, otteneva solo di far aumentare il volume dei nostri strilli, che a quel punto anziché riguardare i giochi, proprio contro di lei si rivolgevano.
Pauli coniò per lei il soprannome “Vecchia Caccamolla” e utilizzandolo prontamente ci lanciavamo in sabbatici girotondi cantilenandole sotto la finestra:
Vecchia Caccamolla, Vecchia Caccamolla, Vecchia Caccamolla… Dando una bella mano alla sua ira.
Con lei oltre al figlio strambo ma innocuo abitava un fratello, lui non era solo un po’ svitato, era proprio pazzo e un giorno capitò che precipitandosi fuori casa ci inseguisse brandendo sopra il capo, coperto da un incredibile cappello a quadretti bianchi e neri, un’ accetta, con l’intento di usarla su di noi. Grazie ai nostri verdi anni correvamo per fortuna più svelti di lui e il tutto fini in un inutile inseguimento. Oggi ci sarebbero state denunce ed articoli sui giornali, ma allora tutto si prendeva con più filosofia.
Al ricordo della Vecchia Caccamolla la mia impazienza è subito sbollita e mi sono rassegnata a sopportare i giochi dei ragazzini in giardino. Cominciava a imbrunire e con il calare della luce anche gli strepiti calarono sino a chetarsi del tutto.
(Continua)










mercoledì 10 febbraio 2016

GIGI SCARPOLIN una postilla

Aggiunta alla storia del post precedente, da un commento di MoscO, anche lei “Scarpolina” nipote del nonno Gigi.

“Il nonno scarpolin conosceva piedi e scarpe di tutto il paese e oltre: durante la guerra si accorse che c'era un rifugiato a casa di paesani perché gli portarono da risuolare un paio di scarpe alle quali non sapeva abbinare i giusti piedi.

Grazie Franz, lo sapevo, ma non lo ricordavo, e mi pare una aggiunta importante.

domenica 7 febbraio 2016

GIGI SCARPOLIN

Ovvero: un post tira l’altro.
Traduttore:
scarpolin = calzolaio
Scarpolini = patronimico o successivamente anche matronimico e nome famigliare non ufficiale:
el Bruno dei Scarpolini, la Bepina Scarpolina, la Picena dela (dela con una sola l) Bepina dei Scarpolini…
Nonno Gigi e Nonna Piera 1951Il mio nonno materno era calzolaio, non di quelli che si limitavano ad aggiustare le scarpe, lui le scarpe oltre ad aggiustarle le faceva.

Ricordo la vecchia bottega di casa, una stanzetta a piano terra, a sinistra della porta d’entrata;autunno  1995 casa mezzana
(Foto di MoscO) (La porta è ancora la stessa, persino i vetri sono gli stessi di quelli della foto precedente, settanta anni dopo)

un deschetto davanti alla piccola finestra incastonata in muri fatti di pietra spessi novanta centimetri, tre sgabelli attorno e sopra ciotole piene di chiodi: a spillo, con la testa grande e piatta, di legno (i cavicli), borchie con la testa tonda, semenza con il gambo quadro e tanti ancora. Poi trincetti, la pietra e la cote per affilarli, lesine, aghi grandi e piccoli, curvi e dritti, il blocchetto della pece per impeciare i fili…
Sulla parete opposta una scansia piena di pezze di pelle, di fogli di gomma e soprattutto forme in legno, piedi e piedini di tutti i tipi. C'erano anche le forme personalizzate per chi nel paese aveva qualche peculiarità, il dito storto del Gioanìn o l'alluce valgo della Meneghina...
Allora le scarpe dovevano durare ed essere comode, si camminava tanto: nei boschi, nei campi, sulla neve... Scarpe solide da lavoro e scarponi da montagna per lo più, ogni tanto qualche scarpina fine, per i pochi benestanti di allora.
Mia madre, che se ci fosse ancora avrebbe compiuto i novant'anni da poco, raccontava con nostalgia di un paio di scarpine in capretto, morbide ed eleganti, che suo padre aveva fatto per lei; le uniche fini che avesse mai avuto da ragazza.
Figlia di un calzolaio era tra i pochi bambini previlegiati che anche nella buona stagione potevano portare le scarpe, anzi, doveva portarle. Lei se ne adombrava e, non volendo essere diversa, uscita di casa le toglieva nascondendole nella legnaia per correre scalza a giocare con gli amici.
beppina che legge
Eccola qui in primo piano, scalza, che legge.
Negli anni ‘70 la bottega e la cantina furono ristrutturate e diventarono un minuscolo appartamento dove andavamo durante le vacanze.
Non tutto però è scomparso, ecco un ritaglio da una foto del ‘73, in alto sopra la finestra c’è qualcosa…mezzana 1973002a
Alcune delle vecchie forme in legno.
Che dipenda da questa storia la mia passione per le scarpe? Winking smile




venerdì 5 febbraio 2016

FRIVOLEZZA

Ovvero: la nipote del ciabattino.

Quando la moda decide che quell’anno si debba seguire una certa linea è piuttosto difficile trovare qualcosa di diverso, specie se si tratta di calzature.

Vi ricorderete che tempo fa e per più anni di seguito androno di moda le scarpe con le punte? Le ho subito detestate. Orribili, non si trovava null’altro. Per tutto il periodo ho rinunciato a qualsiasi acquisto, poi come l’onda è arrivata pian piano se ne è andata.

Adesso lo stile imporrebbe stivali alti, che abbiano il tacco oppure no, sfiorano tutti il ginocchio o, all’opposto, superano appena la caviglia. Non fanno per me, non mi piacciono, ma quelli vecchi, dopo anni di onorato servizio mi hanno abbandonata e hanno cominciato a disgregarsi perdendo i pezzi qua e la.

Ho cercato inutilmente un po’ ovunque qualcosa che mi piacesse, finchè tra dei fondi di magazzino ho trovato qualcosa che almeno in parte soddisfaceva le mie esigenze, belli no, non lo erano, ma almeno l’altezza era quella che volevo, in pelle, comodi, e costavano pure poco.

Non che fossero un gran ché, ma per venti euro si poteva fare.

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Bruttarelli vero?

Così con del nasrto di gros grain rosso cupo e qualche pezzo di cinghia rimediato qua e là…

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…Ho provato a rallegrarli un po’.
Non che siano l’ottava meraviglia, ma a me così non dispiacciono:

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Le rose sono fissate su dei ferma capelli e quindi se le voglio usare su qualcosa d’altro basta sganciarle e fissarle altrove.

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P.S. Grazie a manifantasia da cui ho rubato l’ idea per fare le foglie delle rose